
Chiese europee, battete un colpo!
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 29 del 04/08/2018
“Solo il grande concilio ecumenico della santa Chiesa di Cristo da tutto il mondo può parlare in modo che il mondo, nel pianto e stridore di denti, debba udire la parola della pace, e i popoli si rallegreranno perché questa Chiesa di Cristo toglie, nel nome di Cristo, le armi dalle mani dei suoi figli e vieta loro di fare la guerra e invoca la pace di Cristo sul mondo delirante”. Questa proposta fu formulata nel 1934 dal pastore luterano Dietrich Bonhoeffer, all’inizio del nazismo, e poi ripresa sempre in chiave ecumenica da un prete cattolico, anch’egli poi vittima del nazismo, Max Joseph Metzger. Il suggerimento profetico restò inascoltato, ma l’idea circolò, come segno di un’estrema resistenza evangelica contro le derive nazionalistiche e razziste che porteranno alle tragedie della Shoà e della seconda guerra mondiale. In questi mesi l’Europa sta attraversando una crisi profonda che appare in primo luogo una crisi di senso e di credibilità, e che presenta non pochi punti di contatto con il clima sociale e culturale di quegli anni. Basti pensare, alla rinfusa, alle chiusure identitarie di parecchi Stati; allo sdoganamento aperto del razzismo, dell’intolleranza nei confronti di qualsiasi diversità rispetto a una pretesa idea di normalità e dei peggiori egoismi, non solo sul piano dei linguaggi ma anche dei comportamenti; allo sfruttamento di paure sociali e di rancori collettivi più o meno indotti dagli stessi governanti; alla penosa gestione del fenomeno migratorio; e così via. Si tratta di realtà che attraversano le Chiese stesse, producendo anche presso tanti credenti smarrimento, sfiducia e un sentimento diffuso di resa, come se non ci si potesse opporre a una deriva simile, estremamente preoccupante. Di fronte a tale situazione occorrerebbe recuperare l’intuizione di Bonhoeffer, più che sul versante di un concilio, sul pronunciamento di parole profetiche che rendano il messaggio di Gesù vivo e in grado di risvegliare coscienze cristiane che sembrano addormentate e incapaci di cogliere la gravità del momento presente. Ci troviamo infatti nel contesto di quello che il Nuovo Testamento definisce kairòs, un tempo decisivo e opportuno che chiama a una risposta e rifiuta il silenzio considerandolo complice dello stato delle cose. Così, rischiamo di dimenticare che la Bibbia è un immenso trattato dell’ospitalità e può essere letto come il principale contributo della tradizione ebraicocristiana alla crisi della modernità in atto: alla ricerca di una nuova mappa di orientamento e unica vera risposta – realistica ed etica nello stesso tempo – all’immane problema dei profughi e dei migranti in un mondo sempre più globalizzato e segnato dal ritorno di muri e confini, dallo scandaloso divario tra ricchi e poveri e dall’esplosione di violenze incontrollate che hanno fatto dire a papa Francesco che l’umanità sarebbe entrata in una terza guerra mondiale frammentata. Perché non andrebbe dimenticato che il racconto fondante di Israele è quello di un gruppo di ebrei stranieri e – sprovvisti di protezione e indifesi – oppressi sui quali Dio si è chinato prendendo a cuore la loro sorte e rivelandosi loro come un Dio ospitale: un racconto che, istituendoli come ospiti, li chiama a essere a loro volta ospitali. È questo il significato profondo dell’alleanza stipulata da Mosè sul monte Sinai, in cui lo straniero liberato è chiamato a farsi prossimo a ogni straniero che incontrerà sulla propria strada: «Se verrà a stabilirsi presso di voi uno straniero non molestatelo. Come uno nato tra di voi sarà colui che viene a stabilirsi presso di voi. Lo amerai come te stesso, perché voi siete stati stranieri nella terra d’Egitto. Io sono il Signore Dio vostro» (Lev 19, 33-34).
Diakonia è il termine che nel Nuovo Testamento indica il servizio fraterno e ospitale che i credenti in Cristo praticavano verso i più poveri e bisognosi. È un campo che, oggi, il dialogo tra le grandi comunità di fede non sta ancora arando appieno, eppure il terreno è fertile e, con un po’ di lavoro e di fiducia reciproca, è plausibile immaginare di poterne ricavare frutti abbondanti. Qualche seme gettato qui e là ha già fornito i primi esiti consolanti, che occorrerebbe valorizzare appieno: penso, fra gli altri, all’azione ecumenica a sostegno degli immigrati, a partire dai Corridoi umanitari voluti dalla comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione della Chiese Evangeliche in Italia e dalla Tavola Valdese; alle iniziative interreligiose di preghiera in cui ogni anno si ricordano i profughi morti nel Mediterraneo, il 3 ottobre, Giornata della Memoria e dell’Accoglienza; alla disponibilità con cui tante persone di diverse fedi, spesso nel silenzio e senza riconoscimenti sociali di sorta, si impegnano in scuole di alfabetizzazione o centri di accoglienza per migranti.
Ce n’è abbastanza per augurarsi che i leader di tutte le Chiese europee battano un colpo e colgano questa situazione per mostrare cosa significhino davvero le radici cristiane del vecchio continente. Infatti, «ogni albero si riconosce dal suo frutto» (Lc 6, 44a), e questo frutto, fatto di amore e solidarietà, di vicinanza al prossimo e di carità concreta, potrebbe – e dovrebbe! – essere un frutto ecumenico. Come ha ricordato papa Francesco nel suo recente incontro ginevrino al Consiglio Ecumenico delle Chiese del 21 giugno scorso, è necessario sapere che «scegliere di essere del Signore prima che di destra o di sinistra, scegliere in nome del Vangelo il fratello anziché sé stessi significa spesso, agli occhi del mondo, lavorare in perdita. L’ecumenismo è una grande impresa in perdita. Ma si tratta di perdita evangelica». Mentre «le distanze che esistono fra le chiese non siano scuse – ha sostenuto Bergoglio – perché è possibile già ora camminare secondo lo Spirito: pregare, evangelizzare, servire insieme, questo è possibile e gradito a Dio!”. E se è possibile già ora fare qualcosa insieme, non dobbiamo perdere tempo. Ad esempio, recuperando una proposta fatta da Paolo Naso sul numero di luglio di Jesus, sarebbe importantissimo che nascesse quanto prima un organismo ecumenico che unisca cattolici, ortodossi e protestanti nella testimonianza e nell’azione per i diritti dei migranti e la difesa dell’umanità che accoglie e che salva le vite in mare. In questo campo, infatti, più che mai l’unione fa la forza e la credibilità del cammino ecumenico.
* Brunetto Salvarani è saggista, esperto di dialogo ecumenico e interreligioso, docente di Teologia del Dialogo alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna















PROPOSTA DI AZIONE DI RESISTENZA NONVIOLENTA





LA COMUNITA’ SI INCONTRA A MIANELLA
INCONTRI GENERALI 2024 – 2025








Ho conosciuto Nicola in alcune riunioni della nuova sinistra napoletana, presente, attivo e sempre molto analitico nei suoi interventi. L’ho conosciuto meglio quando si è avvicinato alla nostra Comunità seguendoci nelle discussioni e nelle iniziative, forse incuriosito anche da questa esperienza singolare di una spiritualità laica. Nicola è stato sicuramente un compagno di vasta cultura e,spesso, lo evidenziavano i suoi lunghissimi, chilometrici commenti sui social (con soventi nostre insofferenze) che spaziavano dalla politica all’arte, dalla storia allo sport, al costume, sempre con competenza e personale partecipazione. A me Nicola è sembrato spesso una persona di altri tempi, in senso positivo, rispetto al cinismo, disumanita’, carrierismo che caratterizza questo nostro tempo. Lui, invece, con la sua gentilezza, generosità, il lavoro di avvocatura al servizio degli ultimi, un aspetto quasi di innocenza fanciullesca. L’impegno per la causa del popolo sahavariano lo ha visto lavorare fino agli ultimi giorni di vita. Adesso, caro Nicola, continueremo ad ascoltarti, stavolta nell’essenza del silenzio, e forse apprezzerete di più la tua voglia di comunicare. Riposa in pace!











































































































































“Il Signore promette ristoro e liberazione a tutti gli oppressi del mondo, ma ha bisogno di noi per rendere efficace la sua promessa. Ha bisogno dei nostri occhi per vedere le necessità dei fratelli e delle sorelle – Ha bisogno delle nostre mani per soccorrere. Ha bisogno della nostra voce per denunciare le ingiustizie commesse nel silenzio, talvolta complice, di molti“.Andate a imparare che cosa vuol dire: ‘Misericordia io voglio e non sacrifici’ (9,13). È un’accusa diretta verso l’ipocrisia sterile di chi non vuole “sporcarsi le mani”, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano. Si tratta di una tentazione ben presente anche ai nostri giorni, che si traduce in una chiusura nei confronti di quanti hanno diritto, come noi, alla sicurezza e a una condizione di vita dignitosa, e che costruisce muri, reali o immaginari, invece di ponti”.
















SABATO 24 FEBBRAIO 2024







accogliere gli altri profughi che arrivano a noi scappando da altre guerre, fame e lager di tortura. Questa crisi sta mettendo in luce come questa Europa non è capace di progettare il suo ruolo geo-politico in un mondo dove tutti siamo sulla stessa barca.





di Domenico Pizzuti


“…E qui rinnovo il mio appello affinché «in considerazione delle circostanze […] si mettano in condizione tutti gli Stati, di fare fronte alle maggiori necessità del momento, riducendo, se non addirittura condonando, il debito che grava sui bilanci di quelli più poveri»[6]”.“…«Una nuova etica presuppone l’essere consapevoli della necessità che tutti s’impegnino a lavorare insieme per chiudere i rifugi fiscali, evitare le evasioni e il riciclaggio di denaro che derubano la società, come anche per dire alle nazioni l’importanza di difendere la giustizia e il bene comune al di sopra degli interessi delle imprese e delle multinazionali più potenti»[9]. Questo è il tempo propizio per rinnovare l’architettura finanziaria internazionale[10].”
«che può essere l’occasione per una transizione positiva, ma che richiede grandi cambiamenti: nel mondo del lavoro, nell’economia, nella nostra stessa organizzazione sociale, nel nostro equilibrio con la natura. Il Papa ha chiesto a noi economisti delle proposte concrete per affrontare queste sfide, che abbiano basi solide ma anche la creatività del Vangelo». La direzione verso cui la commissione post Covid-19 del Vaticano sta lavorando è quella di un modello economico più sostenibile e dell’ecologia integrale, per questo suor Alessandra è coinvolta anche nell’anno di celebrazioni della Laudato si’, l’enciclica sulla custodia del creato di papa Francesco, a cinque anni dalla pubblicazione il 24 maggio 2015. «Questi cinque anni sono stati il periodo della ruminatio», afferma suor Smerilli. «La Laudato si’ è stata accolta subito con entusiasmo, anche in ambienti non cattolici. Sono partite iniziative in tutto il mondo: penso alle famiglie che si sono unite per ridurre i consumi, alle nuove “comunità Laudato si’”, alle università e alle parrocchie che stanno attuando la conversione ecologica e danno spazio a una spiritualità del creato, all’interessante fenomeno dei monasteri a impatto zero, a tante persone non credenti che si sono mosse ispirate dall’enciclica. All’inizio si è trattato di iniziative sporadiche, che poi però sono state messe a sistema da chi, profondamente convinto, si è fatto promotore del cambiamento. L’anno di celebrazione sarà un altro inizio, cui seguiranno sette anni – un numero biblico, non a caso, per far crescere queste pratiche di transizione ecologica e replicarle, fare massa critica e aumentare l’impatto sulla politica e su chi deve prendere decisioni».





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