
“Dilexi te”: un amore che non basta.
di GIANNI URSO
“Dilexi te”: un amore che non basta.La povertà secondo Leone XIV e la crisi di una Chiesa che non sa più spogliarsidi Gianni UrsoIl primo documento di papa Leone XIV, l’esortazione apostolica Dilexi te, si presenta come un atto d’amore: amore per i poveri, per gli esclusi, per le vittime di un mondo che ha perso l’anima. Ma, dietro le parole dolci e i richiami evangelici, si cela una Chiesa che sembra aver perso il coraggio della verità, una Chiesa che preferisce accarezzare il dolore invece di affrontarne le cause.Il titolo, “Ti ho amato”, richiama la tenerezza di Dio ma anche, involontariamente, la tenerezza paternalista di un’istituzione che non riesce a guardare i poveri come soggetti della storia. Li contempla, li descrive, li accarezza. Ma non li libera.1. La continuità che diventa stanchezzaLeone XIV afferma di voler dare una nuova impronta al magistero, ma Dilexi te sembra piuttosto il capitolo 33 di Evangelii Gaudium.Il linguaggio è quello di Francesco: misericordia, tenerezza, vicinanza, compassione. Tutto vero, tutto nobile — ma già detto, già udito, già neutralizzato da anni di buone intenzioni rimaste senza carne.Si denuncia “un’economia che uccide”, ma non si dice chi la uccide, come, perché.Si parla di poveri, ma non di ricchi, né di potere, né di responsabilità.È un testo che conforta le coscienze, non che le inquieta.Il rischio è quello di una Chiesa che predica la povertà come se fosse un valore estetico, e non un fallimento storico da combattere.Una Chiesa che, invece di spogliarsi, indossa la povertà come veste simbolica, lasciando intatti i suoi privilegi materiali e spirituali.2. L’amore che non liberaIn Dilexi te la povertà è contemplata, non trasformata.Si parla dei “volti dei poveri” — i migranti, i carcerati, i malati, le donne sfruttate — ma tutto resta nel registro compassionevole, quasi liturgico.Non c’è traccia di una teologia del conflitto, di un grido che scardini le strutture.Il documento non osa dire che la povertà è frutto di un sistema economico che la Chiesa stessa ha benedetto per secoli, che la finanza vaticana continua a nutrire.La povertà evangelica non è la povertà imposta. Ma Dilexi te le confonde, quasi che la miseria fosse una via di santità.È una visione disarmante, perché dietro il linguaggio pastorale si nasconde l’antico clericalismo compassionevole: la Chiesa distribuisce carità, ma non rinuncia al trono da cui la dispensa.3. Il grande silenzio sull’autocriticaLeone XIV invoca una Chiesa “povera e missionaria”.Bene. Ma come si può parlare di povertà senza parlare delle ricchezze della Chiesa?Nessuna parola sulle banche vaticane, sugli immobili di lusso, sui fondi opachi, sulle diocesi che gestiscono patrimoni milionari mentre i fedeli si impoveriscono.Nessun cenno al fatto che la Chiesa è una delle più grandi proprietarie terriere d’Europa.Nessuna confessione di colpa per aver sostenuto, benedetto o taciuto davanti ai regimi che hanno prodotto i poveri.Non basta dire “siate poveri”. Occorre dire: “noi siamo stati complici della povertà del mondo”.Ma questo linguaggio, a Roma, è ancora proibito.4. Dove finisce la profezia e comincia la retoricaC’è un filo rosso che attraversa la storia della Chiesa moderna: quello della retorica profetica senza conseguenze.Dilexi te è un testo perfettamente scritto per non disturbare nessuno: parla ai buoni, rassicura i deboli, non tocca i potenti.Un documento che sembra voler piacere a tutti e non ferire nessuno. Eppure il Vangelo — quello vero, quello delle Beatitudini — non consola, ma divide, spezza, chiama per nome i responsabili dell’ingiustizia.Gesù non parlava di povertà: parlava di ricchezza come peccato. In Dilexi te questo scandalo è scomparso.Si parla di carità, non di giustizia; di compassione, non di liberazione. È la vecchia, rassicurante dottrina della carità che riempie le mani ma lascia intatto l’ordine del mondo.5. Il fallimento di una riforma mancataLa promessa di una “Chiesa in uscita” si è trasformata in una Chiesa che cammina in tondo. Nulla cambia nei meccanismi di potere, nei ruoli, nei ministeri. Le donne restano ai margini, i laici restano spettatori, il clero conserva la regia. Il linguaggio di Dilexi te è pieno di amore, ma vuoto di democrazia.La povertà, se davvero volessimo prenderla sul serio, dovrebbe partire da dentro: dal vendere i palazzi, dal rinunciare ai privilegi fiscali, dal redistribuire i beni ecclesiastici alle comunità locali. Ma questo non si dice.Meglio parlare di amore, perché l’amore non obbliga nessuno a cambiare.6. Una parola che consola, non converteAlla fine, Dilexi te non è un documento cattivo. È semplicemente un documento inutile.Perché non scuote, non rischia, non denuncia, non cambia. È il segno di una Chiesa che ha imparato a parlare di povertà senza sporcarsi le mani di polvere.Forse Leone XIV ama davvero i poveri. Ma l’amore, quando non diventa giustizia, resta un gesto sterile.E la Chiesa, se non avrà il coraggio di riconoscersi come parte del problema, continuerà a parlare dell’amore di Dio su un altare costruito con l’oro dei potenti.“Dilexi te”: ti ho amato.Ma forse è tempo che la Chiesa impari ad amare non più con le parole — ma con la rinuncia, la verità e la libertà.
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PROPOSTA DI AZIONE DI RESISTENZA NONVIOLENTA





LA COMUNITA’ SI INCONTRA A MIANELLA
INCONTRI GENERALI 2024 – 2025








Ho conosciuto Nicola in alcune riunioni della nuova sinistra napoletana, presente, attivo e sempre molto analitico nei suoi interventi. L’ho conosciuto meglio quando si è avvicinato alla nostra Comunità seguendoci nelle discussioni e nelle iniziative, forse incuriosito anche da questa esperienza singolare di una spiritualità laica. Nicola è stato sicuramente un compagno di vasta cultura e,spesso, lo evidenziavano i suoi lunghissimi, chilometrici commenti sui social (con soventi nostre insofferenze) che spaziavano dalla politica all’arte, dalla storia allo sport, al costume, sempre con competenza e personale partecipazione. A me Nicola è sembrato spesso una persona di altri tempi, in senso positivo, rispetto al cinismo, disumanita’, carrierismo che caratterizza questo nostro tempo. Lui, invece, con la sua gentilezza, generosità, il lavoro di avvocatura al servizio degli ultimi, un aspetto quasi di innocenza fanciullesca. L’impegno per la causa del popolo sahavariano lo ha visto lavorare fino agli ultimi giorni di vita. Adesso, caro Nicola, continueremo ad ascoltarti, stavolta nell’essenza del silenzio, e forse apprezzerete di più la tua voglia di comunicare. Riposa in pace!











































































































































“Il Signore promette ristoro e liberazione a tutti gli oppressi del mondo, ma ha bisogno di noi per rendere efficace la sua promessa. Ha bisogno dei nostri occhi per vedere le necessità dei fratelli e delle sorelle – Ha bisogno delle nostre mani per soccorrere. Ha bisogno della nostra voce per denunciare le ingiustizie commesse nel silenzio, talvolta complice, di molti“.Andate a imparare che cosa vuol dire: ‘Misericordia io voglio e non sacrifici’ (9,13). È un’accusa diretta verso l’ipocrisia sterile di chi non vuole “sporcarsi le mani”, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano. Si tratta di una tentazione ben presente anche ai nostri giorni, che si traduce in una chiusura nei confronti di quanti hanno diritto, come noi, alla sicurezza e a una condizione di vita dignitosa, e che costruisce muri, reali o immaginari, invece di ponti”.
















SABATO 24 FEBBRAIO 2024







accogliere gli altri profughi che arrivano a noi scappando da altre guerre, fame e lager di tortura. Questa crisi sta mettendo in luce come questa Europa non è capace di progettare il suo ruolo geo-politico in un mondo dove tutti siamo sulla stessa barca.





di Domenico Pizzuti


“…E qui rinnovo il mio appello affinché «in considerazione delle circostanze […] si mettano in condizione tutti gli Stati, di fare fronte alle maggiori necessità del momento, riducendo, se non addirittura condonando, il debito che grava sui bilanci di quelli più poveri»[6]”.“…«Una nuova etica presuppone l’essere consapevoli della necessità che tutti s’impegnino a lavorare insieme per chiudere i rifugi fiscali, evitare le evasioni e il riciclaggio di denaro che derubano la società, come anche per dire alle nazioni l’importanza di difendere la giustizia e il bene comune al di sopra degli interessi delle imprese e delle multinazionali più potenti»[9]. Questo è il tempo propizio per rinnovare l’architettura finanziaria internazionale[10].”
«che può essere l’occasione per una transizione positiva, ma che richiede grandi cambiamenti: nel mondo del lavoro, nell’economia, nella nostra stessa organizzazione sociale, nel nostro equilibrio con la natura. Il Papa ha chiesto a noi economisti delle proposte concrete per affrontare queste sfide, che abbiano basi solide ma anche la creatività del Vangelo». La direzione verso cui la commissione post Covid-19 del Vaticano sta lavorando è quella di un modello economico più sostenibile e dell’ecologia integrale, per questo suor Alessandra è coinvolta anche nell’anno di celebrazioni della Laudato si’, l’enciclica sulla custodia del creato di papa Francesco, a cinque anni dalla pubblicazione il 24 maggio 2015. «Questi cinque anni sono stati il periodo della ruminatio», afferma suor Smerilli. «La Laudato si’ è stata accolta subito con entusiasmo, anche in ambienti non cattolici. Sono partite iniziative in tutto il mondo: penso alle famiglie che si sono unite per ridurre i consumi, alle nuove “comunità Laudato si’”, alle università e alle parrocchie che stanno attuando la conversione ecologica e danno spazio a una spiritualità del creato, all’interessante fenomeno dei monasteri a impatto zero, a tante persone non credenti che si sono mosse ispirate dall’enciclica. All’inizio si è trattato di iniziative sporadiche, che poi però sono state messe a sistema da chi, profondamente convinto, si è fatto promotore del cambiamento. L’anno di celebrazione sarà un altro inizio, cui seguiranno sette anni – un numero biblico, non a caso, per far crescere queste pratiche di transizione ecologica e replicarle, fare massa critica e aumentare l’impatto sulla politica e su chi deve prendere decisioni».





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