
Gaza: una croce senza resurrezione
Di Gianni Urso
Non si può più tacere. Non si può più rimandare. Chi si dice cristiano oggi deve rompere il silenzio. Perché se il cristianesimo ha un senso, quel senso non può che stare dalla parte del popolo crocifisso. E a Gaza, oggi, si consuma una crocifissione che non ha diritto nemmeno al terzo giorno. Non c’è pietra che rotoli via. Non c’è tomba vuota. C’è solo morte, fame, bombardamenti, disumanizzazione, cancellazione.Parlare di Palestina, oggi, significa infrangere il muro di ipocrisie che l’Occidente ha eretto per proteggere la propria coscienza. Significa smettere di usare la parola “pace” come uno scudo, o peggio, come un alibi. Significa dire, con chiarezza, che ciò che sta accadendo a Gaza è un crimine sistematico, compiuto con il beneplacito delle grandi democrazie occidentali, in nome di una superiorità morale che puzza di colonialismo, di razzismo, di evangelizzazione forzata, di supremazia bianca.Non è un conflitto. È un’occupazione. Non è una guerra. È un massacro. Non è difesa. È sterminio. E tutto questo si consuma sotto gli occhi di un’umanità assuefatta allo spettacolo del dolore, che ha ridotto il martirio di un intero popolo a un fatto geopolitico, a una contabilità di razzi e di vittime, a una questione “complessa”, come se la complessità fosse un motivo per restare neutrali. Ma la neutralità, davanti all’ingiustizia, non è virtù: è complicità.Non si può essere cristiani senza scegliere dove stare. Non si può credere nel Cristo crocifisso e restare equidistanti tra il carnefice e il crocifisso.Chi dice “né con Israele né con Hamas” sta evitando di dire una verità scomoda: che Gaza è oggi la periferia assoluta dell’umanità, ridotta a ghetto, a prigione a cielo aperto, a bersaglio permanente. Le immagini dei bambini sepolti sotto le macerie, le donne che partoriscono senza anestesia, i corpi senza nome allineati nei cortili delle scuole, i cecchini che colpiscono chi cerca cibo o acqua… tutto questo non è un effetto collaterale. È una strategia.È una pedagogia dell’orrore. È il messaggio chiaro di chi dice: voi non avete diritto di esistere.E la Chiesa? Tace. Benedice. Si mostra prudente. Parla di “preghiera per la pace” senza mai dire chi bombarda e chi muore. Si inginocchia davanti alle potenze, come sempre ha fatto, come sempre ha saputo fare. Le gerarchie cattoliche, con rarissime eccezioni, si sono rese complici di un’omertà indecente.Non una parola profetica. Non un gesto di rottura. Solo diplomazia, equidistanza, astensione. Ma chi prega per la pace e tace sulla giustizia bestemmia il Vangelo. Chi si appella al dialogo mentre un popolo muore è come il sacerdote e il levita della parabola: passa oltre. Lascia il sangue sulla strada.E allora spetta a noi, Chiesa senza potere, comunità del Vangelo disarmato, cristiani senza pulpito né mitria, dire ciò che non viene detto. Spetta a noi gridare, anche nel deserto. Perché Gaza è il Golgota del nostro tempo. Perché la Palestina è l’icona della passione del mondo povero. Perché il popolo palestinese, nonostante tutto, resiste. Ed è in quella resistenza che vive ancora, sotto le macerie, il respiro stesso dello Spirito.E non importa se qualcuno ci accuserà di faziosità, di ingenuità, di antisemitismo: niente di tutto questo. Non è odio per il popolo ebraico ciò che ci muove, ma amore per ogni popolo schiacciato. Non è appoggio al fondamentalismo, ma compassione per chi non ha voce. Non è un’ideologia, è la fede che ci impone di gridare contro il tempio, come Gesù, quando quel tempio diventa casa di mercanti.Non esiste neutralità per chi crede davvero. Non si può seguire il Crocifisso e rimanere in silenzio davanti a Gaza. Non si può credere nel Dio degli ultimi e ignorare chi è stato ridotto all’ultimo grado della miseria. Se la fede non ci spinge a schierarci, allora è una superstizione, un abito da cerimonia, una liturgia vuota.Io non voglio più partecipare a messe dove non si prega per Gaza. Non voglio più ascoltare omelie in cui si parla del Samaritano e si dimenticano i palestinesi.Non voglio più appartenere a una Chiesa che resta muta quando si uccide l’innocente. Perché, come disse Bonhoeffer, “solo chi grida per gli ebrei può cantare gregoriano”. E oggi, solo chi grida per i palestinesi può ancora parlare del Vangelo.Perché Cristo è là dove la dignità è calpestata. È nei bambini che chiedono acqua e ricevono fuoco. È nei medici che operano senza luce. È nei volti coperti di polvere, negli occhi che non hanno più lacrime, nei padri che raccolgono pezzi di corpi. Cristo è lì. Non in Vaticano. Non nei palazzi. Non nei silenzi diplomatici.E forse è tempo che anche la resurrezione smetta di essere un’illusione spirituale e diventi un grido politico. Forse è tempo di dire che se Cristo è davvero risorto, allora ogni popolo ha diritto alla sua Pasqua. Anche Gaza. Anche la Palestina. E che finché questo non accade, ogni chiesa che tace è un sepolcro imbiancato.















PROPOSTA DI AZIONE DI RESISTENZA NONVIOLENTA





LA COMUNITA’ SI INCONTRA A MIANELLA
INCONTRI GENERALI 2024 – 2025








Ho conosciuto Nicola in alcune riunioni della nuova sinistra napoletana, presente, attivo e sempre molto analitico nei suoi interventi. L’ho conosciuto meglio quando si è avvicinato alla nostra Comunità seguendoci nelle discussioni e nelle iniziative, forse incuriosito anche da questa esperienza singolare di una spiritualità laica. Nicola è stato sicuramente un compagno di vasta cultura e,spesso, lo evidenziavano i suoi lunghissimi, chilometrici commenti sui social (con soventi nostre insofferenze) che spaziavano dalla politica all’arte, dalla storia allo sport, al costume, sempre con competenza e personale partecipazione. A me Nicola è sembrato spesso una persona di altri tempi, in senso positivo, rispetto al cinismo, disumanita’, carrierismo che caratterizza questo nostro tempo. Lui, invece, con la sua gentilezza, generosità, il lavoro di avvocatura al servizio degli ultimi, un aspetto quasi di innocenza fanciullesca. L’impegno per la causa del popolo sahavariano lo ha visto lavorare fino agli ultimi giorni di vita. Adesso, caro Nicola, continueremo ad ascoltarti, stavolta nell’essenza del silenzio, e forse apprezzerete di più la tua voglia di comunicare. Riposa in pace!











































































































































“Il Signore promette ristoro e liberazione a tutti gli oppressi del mondo, ma ha bisogno di noi per rendere efficace la sua promessa. Ha bisogno dei nostri occhi per vedere le necessità dei fratelli e delle sorelle – Ha bisogno delle nostre mani per soccorrere. Ha bisogno della nostra voce per denunciare le ingiustizie commesse nel silenzio, talvolta complice, di molti“.Andate a imparare che cosa vuol dire: ‘Misericordia io voglio e non sacrifici’ (9,13). È un’accusa diretta verso l’ipocrisia sterile di chi non vuole “sporcarsi le mani”, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano. Si tratta di una tentazione ben presente anche ai nostri giorni, che si traduce in una chiusura nei confronti di quanti hanno diritto, come noi, alla sicurezza e a una condizione di vita dignitosa, e che costruisce muri, reali o immaginari, invece di ponti”.
















SABATO 24 FEBBRAIO 2024







accogliere gli altri profughi che arrivano a noi scappando da altre guerre, fame e lager di tortura. Questa crisi sta mettendo in luce come questa Europa non è capace di progettare il suo ruolo geo-politico in un mondo dove tutti siamo sulla stessa barca.





di Domenico Pizzuti


“…E qui rinnovo il mio appello affinché «in considerazione delle circostanze […] si mettano in condizione tutti gli Stati, di fare fronte alle maggiori necessità del momento, riducendo, se non addirittura condonando, il debito che grava sui bilanci di quelli più poveri»[6]”.“…«Una nuova etica presuppone l’essere consapevoli della necessità che tutti s’impegnino a lavorare insieme per chiudere i rifugi fiscali, evitare le evasioni e il riciclaggio di denaro che derubano la società, come anche per dire alle nazioni l’importanza di difendere la giustizia e il bene comune al di sopra degli interessi delle imprese e delle multinazionali più potenti»[9]. Questo è il tempo propizio per rinnovare l’architettura finanziaria internazionale[10].”
«che può essere l’occasione per una transizione positiva, ma che richiede grandi cambiamenti: nel mondo del lavoro, nell’economia, nella nostra stessa organizzazione sociale, nel nostro equilibrio con la natura. Il Papa ha chiesto a noi economisti delle proposte concrete per affrontare queste sfide, che abbiano basi solide ma anche la creatività del Vangelo». La direzione verso cui la commissione post Covid-19 del Vaticano sta lavorando è quella di un modello economico più sostenibile e dell’ecologia integrale, per questo suor Alessandra è coinvolta anche nell’anno di celebrazioni della Laudato si’, l’enciclica sulla custodia del creato di papa Francesco, a cinque anni dalla pubblicazione il 24 maggio 2015. «Questi cinque anni sono stati il periodo della ruminatio», afferma suor Smerilli. «La Laudato si’ è stata accolta subito con entusiasmo, anche in ambienti non cattolici. Sono partite iniziative in tutto il mondo: penso alle famiglie che si sono unite per ridurre i consumi, alle nuove “comunità Laudato si’”, alle università e alle parrocchie che stanno attuando la conversione ecologica e danno spazio a una spiritualità del creato, all’interessante fenomeno dei monasteri a impatto zero, a tante persone non credenti che si sono mosse ispirate dall’enciclica. All’inizio si è trattato di iniziative sporadiche, che poi però sono state messe a sistema da chi, profondamente convinto, si è fatto promotore del cambiamento. L’anno di celebrazione sarà un altro inizio, cui seguiranno sette anni – un numero biblico, non a caso, per far crescere queste pratiche di transizione ecologica e replicarle, fare massa critica e aumentare l’impatto sulla politica e su chi deve prendere decisioni».





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